CUORE E MENTE

Romain Bardet ha annunciato che il Giro d'Italia e il Giro del Delfinato del 2025 saranno le sue ultime gare da professionista, prima di concludere la carriera con una o due stagioni dedicate al gravel. In un'intervista a Rouleur, Bardet condivide i motivi che lo hanno spinto a fare un passo indietro, nonostante stia ancora ottenendo ottimi risultati.

Autore: James Startt

 

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Rouleur Italia 23: Numeri. All'interno della rivista potrai leggere anche interviste a Kasia Niewiadoma e Victor Campenaerts, un approfondimento sulla Uno-X Mobility e molto altro. Abbonati a Rouleur Italia oggi stesso per supportare il nostro giornalismo internazionale e leggere molte altre storie esclusive con i campioni del ciclismo.

Romain Bardet probabilmente non avrebbe mai vinto il Tour de France, ma ciò non gli ha impedito di provarci. Ha gareggiato nel pieno dominio del Team Sky, trovandosi spesso in inferiorità. Nonostante questo, ha saputo creare opportunità per attaccare, il che lo ha portato due volte sul podio del Tour: secondo nel 2016 e terzo nel 2017.

Bardet si è sempre distinto per il suo carattere riflessivo e misurato, conseguendo persino un master in gestione aziendale quando era all’inizio della sua carriera. Ma in sella era tutt’altro che calcolatore, ammirato dal gruppo per saper cogliere le opportunità al momento giusto. Un esempio memorabile è stato il suo attacco improvviso sotto la pioggia nella penultima tappa di montagna del Tour 2016, che lo ha portato dal quinto al secondo posto, regalandogli anche una vittoria di tappa. Un’azione simile, sul finale della tappa inaugurale del Tour di quest'anno gli ha garantito una vittoria spettacolare e un breve periodo in maglia gialla.

Nonostante Bardet continui a ottenere risultati di rilievo – è arrivato secondo alla Liegi-Bastogne-Liegi dietro a Tadej Pogačar e nono al Giro d’Italia l'anno scorso – il francese, che ha compiuto 34 anni a novembre, ha annunciato che si ritirerà dalle gare su strada a metà del 2025. All’orizzonte ci sono il Giro d’Italia e il Giro del Delfinato con il Team dsm-firmenich PostNL, prima di dedicarsi al gravel per il resto della stagione e fino al 2026. La decisione di Bardet ha sorpreso molti, considerando che è ancora relativamente giovane e una delle più grandi stelle del ciclismo francese nell'ultimo decennio. Tuttavia, è evidente che è pronto voltare pagina.

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Nel ciclismo tutto accade così velocemente. Quando vinci la tua prima gara da professionista, si crea subito una grande aspettativa, e nei primi anni ogni risultato che ottieni è visto come un successo. Tuttavia, questa fase di entusiasmo non dura a lungo, forse solo per i primi tre anni. Dopo, si entra in un periodo più complesso: hai alzato l’asticella delle aspettative, e sembra che tutti si aspettino sempre di più da te. Questa fase può essere estenuante e difficilmente sostenibile a lungo termine. Presto ti ritrovi nella categoria dei corridori con esperienza, e una volta superati i 30 anni, il tempo sembra scorrere velocemente.

I primi anni della mia carriera sono stati quelli che ho apprezzato di più. Erano anni in cui sentivo di avere un intero mondo da esplorare e la convinzione che non ci fosse una sola strada per raggiungere i risultati. Sperimentavo molto, commettendo a volte degli errori, ma ottenendo anche i primi successi. È stata un'esperienza profondamente umana, e avevo una capacità innata di spingere il mio corpo al limite. Da allora, però, lo sport è cambiato radicalmente. Oggi le squadre sono molto più strutturate e tutti conosciamo più o meno quale sia il percorso ideale per ottenere buoni risultati. Nei miei primi anni, invece, lo sport era più empirico: i corridori cercavano la loro strada verso la performance.

Ho deciso di ritirarmi prima dell'inizio della stagione 2024, anche se già alla fine del 2022 avevo iniziato a rifletterci. Ma mi sono davvero divertito a far parte di questa squadra, e sono consapevole dell'opportunità che mi hanno offerto. Ho sempre avuto un ottimo rapporto con la dirigenza. Alla fine del 2022 pensavo di chiudere la carriera nel 2024, ma nel corso del 2023 ho avuto lunghe conversazioni con la squadra. Sentivo che c'erano ancora obiettivi professionali che dovevo raggiungere, e il mio lavoro con i giovani corridori, a causa di alcuni infortuni, non ho potuto farlo tanto quanto avrei voluto. Allo stesso tempo, però, non mi vedevo in un'altra stagione completa. La dirigenza è sempre stata molto aperta e onesta con me, permettendomi di scegliere quale sarebbe stata la stagione ideale per concludere la mia carriera. E di questo sono molto grato, è un'opportunità rara.

Volevo davvero partecipare un'ultima volta al Giro d’Italia. L’ho fatto tre volte, ma sento di non aver ancora dato tutto ciò che avrei potuto o voluto in quel Grande Giro. Ma devo anche trovare nuovi obiettivi nel ciclismo.

Per anni, sono stato un corridore con l’obiettivo di vincere un Grande Giro, ma ora so che questa possibilità è svanita. Oggi devo affrontare sacrifici ancora più grandi e, a dirla tutta, non sono nemmeno sicuro di poter arrivare sul podio di un Grande Giro. Credo che il 2022 sia stata praticamente la mia ultima opportunità per un simile risultato. Di conseguenza, si arriva a un momento in cui l’ago della bilancia pende dalla parte sbagliata, e non vale la pena compiere così tanti sacrifici per pochi risultati. Ho perso la grinta di dare tutto per entrare tra i primi dieci. A 33 anni, credo di aver disputato una stagione molto buona, e quindi l'idea di smettere ora è davvero allettante.

Da quando sono diventato professionista, sono cambiate molte cose nel ciclismo, praticamente tutto. Oggi il ciclismo è estremamente "millimetrico", e per certi versi questa precisione mi ha stancato. La costante attenzione ai watt, l'uso di bilance per pesare il cibo a tavola, il dormire con un braccialetto... Per me, il ciclismo è molto di più, e faccio sempre più fatica ad identificarmi con esso. Lo trovo mentalmente estenuante. Penso che quando si è più giovani sia più facile affrontare tutto questo. Questi strumenti possono essere utili per ogni ciclista per comprendere se stesso e migliorare il proprio potenziale. Ma quando si arriva a conoscere veramente chi si è e di cosa si è capaci come ciclisti, a un certo punto bisogna trovare la propria strada.

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Oggi ci sono due classi di ciclisti. In primo luogo ci sono Pogačar, Vingegaard e Remco, anche se direi che Remco è ancora leggermente sotto gli altri due in questo momento, così come Roglič. Poi c'è un gruppo di una ventina di corridori che, in una giornata eccezionale, possono sfidarli, ma non sono al loro livello. Oggi vincere è diventato incredibilmente difficile. La mia soglia si aggira intorno ai 400 watt, ma se affrontassi una salita insieme al gruppo della maglia gialla, loro viaggerebbero sui 440 watt. Questo valore rappresenta il mio record per uno sforzo di 15 minuti, ma loro lo mantengono per oltre 30 minuti. La differenza è evidente.

Decidere di ritirarmi mi ha tolto un peso durante il Tour de France. Per me, il Tour non è mai stato una ricompensa, e senza risultati non c'è davvero piacere. È una corsa estremamente impegnativa. Tutti si aspettano grandi prestazioni, ma è difficile ottenerle. Inoltre, ogni giorno ti senti vulnerabile, tra il rischio di cadute o malattie. È un peso costante da portare. La mia squadra avrebbe potuto spingermi a puntare alla classifica generale, ma fortunatamente mi ha permesso di affrontare il Tour come desideravo, concentrandomi sulle singole tappe. Volevo davvero provare a vincerne un'altra. Era da tanto tempo che non alzavo le braccia al cielo al Tour, ed era qualcosa che desideravo fortemente fare di nuovo. Vincere la prima tappa del Tour de France quest'anno è stato assolutamente uno sforzo collettivo. Parliamo spesso di sforzi collettivi nel ciclismo, ma quel giorno li ha davvero incarnati. Il modo in cui abbiamo preparato la tappa, con Frank van den Broek che ha attaccato presto, è stato semplicemente favoloso.

Tutti dicono che facciamo questo sport per vincere, ma io non la penso così. Fortunatamente, in questo sport non c'è solo la vittoria. Non ho vinto molto durante la mia carriera, ma in tutta modestia, sento di essere riconosciuto nel mondo del ciclismo per la carriera che ho avuto. Sì, ho avuto delle vittorie, ma per fortuna ci sono anche altre cose. Vincere, ovviamente, è l'obiettivo, ma allo stesso tempo ci sono 180 corridori al via di ogni gara e solo uno vince, quindi il tasso di successo non è molto alto per le squadre che partecipano. Per me sono importanti le storie dei corridori e credo che, con il talento che avevo, sono riuscito a lasciare un segno nella mia generazione.

La più grande soddisfazione della mia carriera è stata ricevere apprezzamenti per quello che sono. Ho avuto la fortuna di incontrare persone che hanno saputo ascoltarmi e che mi hanno dato l'opportunità di esprimere al meglio il mio potenziale. D'altro canto, la mia più grande frustrazione è stata non aver concentrato prima i miei sforzi sulla vittoria di un altro Grande Giro oltre al Tour de France. Dopo il secondo posto al Tour nel 2016 e il terzo nel 2017, avrei dovuto reindirizzare la mia attenzione verso il Giro d'Italia o la Vuelta. Avrei dovuto focalizzarmi su un altro Grande Giro nel 2018 o nel 2019, puntando a vincere o almeno a salire sul podio. Questo è l'unico rimpianto che ho, ripensando alla mia carriera. Credo che ciò che mi mancherà di più al momento del ritiro sarà quella scarica di adrenalina e soddisfazione che si prova nel superare se stessi. Per questo motivo, ho deciso di concludere la mia carriera professionale in modo graduale, passando al gravel nella seconda parte del 2025 e nel 2026. Mi impegnerò a fondo, dando il massimo per essere competitivo, ma senza dover trascorrere tutto quel tempo lontano da casa, come accade nelle corse su strada. Questa transizione è simile a quella di un atleta che passa dagli eventi internazionali di atletica leggera nei grandi stadi al trail running. Continuerò a mettermi alla prova, ma in un contesto diverso. Per quanto riguarda l'allenamento, non ci saranno cambiamenti significativi all'inizio, ma avrò più tempo da dedicare alla mia famiglia. Il sacrificio più grande per un ciclista su strada oggi non è tanto l'allenamento, quanto il tempo trascorso lontano da casa.

Non so davvero cosa farò quando mi ritirerò. Ho diverse idee, ma ad essere onesti è troppo presto. Il mio grande sogno è quello di fondare una mia squadra con un modello diverso e valori diversi, ma è davvero troppo presto per parlarne. Per prima cosa credo sia importante prendermi un po' di tempo per me e fare un passo indietro. Una cosa è certa: voglio farlo con la stessa energia e lo stesso slancio che ho sempre avuto nel corso della mia carriera.

Il ciclismo farà sempre parte della mia vita. Non riesco proprio a vedere un momento in cui non andrò più in bicicletta. Forse ci saranno periodi in cui alternerò l'attività ciclistica con la corsa a piedi, ad esempio, ma la bicicletta farà sempre parte della mia vita.

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