SENZA CONFINI

SENZA CONFINI

Le città gemelle di Gorizia e Nova Gorica si trovano a cavallo del confine tra Italia e Slovenia. Rouleur affronta un paio di itinerari in una regione dalla straordinaria varietà di paesaggi: montagne, pianure, colline impegnative, lagune e la costa adriatica. Un territorio che dimostra anche come le culture si fondono e si intrecciano quando le persone si incontrano a metà strada

Autore: Davide Mazzocco Immagini: Alessandra Bucci

ARTICOLO IN COLLABORAZIONE CON IO SONO FRIULI VENEZIA GIULIA

Nel corso della storia, ci sono stati luoghi e momenti nei quali le linee astratte inventate dalla politica per dividere gli esseri umani sono diventate muri e reticolati, confini perennemente sorvegliati, dimostrazioni plastiche della paura dell’altro e del lato più brutale del potere. Quando la Storia abbatte come un bulldozer muri e fili spinati, pregiudizi e diffidenze, ci si accorge di avere con l’altro molte più cose in comune di quanto non si creda. Gorizia e Nova Gorica, per oltre mezzo secolo separate da un confine fisico militarizzato, sono quest’anno le Capitali europee della cultura insieme alla tedesca Chemnitz. La cooperazione fra la città del Friuli Venezia Giulia e la prospicente “città nuova” slovena altro non è che un salto indietro a un passato multiculturale e plurilinguistico. All’inizio del XX secolo, per i goriziani era normale parlare quattro lingue: italiano, tedesco, sloveno e friulano. Sono state le guerre e i totalitarismi del secolo scorso a omologare le differenze ridimensionando la ricchezza culturale di questo territorio periferico se si guardano le mappe di Italia e Slovenia, centrale se si guarda all’Europa nel suo insieme.

Sulla linea di confine che dal 1947 al 2004 ha separato con muri, recinzioni e check point l’Italia dalla Jugoslavia prima e dalla Slovenia poi, corre oggi una pista ciclabile che è uno degli assi portanti di un reticolato di arterie riservate alle biciclette che connettono il centro cittadino alla ciclovia Pedemontana FVG 3 che lo scorso anno ha vinto l’Oscar italiano del cicloturismo e alla ciclovia FVG 5 dell’Isonzo che consente di raggiungere il Mar Adriatico. Sabato 24 maggio Gorizia ospiterà l’arrivo della quattordicesima tappa del Giro d’Italia, una frazione che potrebbe essere una delle ultime occasioni di successo per gli sprinter. L’arrivo sembra fatto apposta per solleticare l’appetito di Jonathan Milan, il ciclista più rappresentativo del Friuli Venezia Giulia. Questa regione è fra le più piccole del Belpaese, ma offre un’eterogeneità di paesaggi in grado di soddisfare anche il più esigente dei viaggiatori. Dalle spiagge dorate dell’Adriatico alle Alpi Giulie e Carniche, dai paesaggi lagunari alle dolci colline del Collio, dalle città ricche di storia della pianura alle Dolomiti, il Friuli Venezia Giulia è una sintesi di tutto ciò che di bello si può trovare viaggiando lungo la Penisola. 

La prossimità al mondo mitteleuropeo, nel quale il cicloturismo rappresenta una fetta importante del settore, ha spinto l’amministrazione della più orientale delle regioni del Nord Italia a scommettere sulle infrastrutture per la bicicletta. Il Piano Regionale della Mobilità Ciclistica ha individuato cinque ciclovie regionali di interesse turistico e una serie di itinerari ad anello da percorrere in uno o più giorni. Fra queste ciclovie due sono inserite all’interno della rete ciclabile europea: l’Alpe Adria (FVG1) che collega Salisburgo a Grado e quella del Mar Adriatico che collega Trieste e Venezia ed è parte dell’EuroVelo 8 del Mar Mediterraneo, che va da Cadice ad Atene. Anche i ciclisti affamati di salite possono trovare ascese da dare in pasto alle loro ruote. Sia che lo si affronti da Sutrio, sia che lo si cominci da Ovaro, il Monte Zoncolan è una delle sfide più esaltanti che un grimpeur possa affrontare. Decisamente più abbordabile è la salita che conduce a Cima Sappada, un luogo che fa correre la memoria al “tradimento” con cui Stephen Roche sfilò la maglia rosa al compagno di squadra Roberto Visentini durante il Giro d’Italia 1987. La salita di Piancavallo sulla quale cominciò la cavalcata trionfale di Marco Pantani al Giro del 1998 è un vero e proprio balcone sulla pianura pordenonese. Dopo avere deciso le sorti del Giro d’Italia 2023, anche la strada per il Monte Lussari è diventata accessibile agli stradisti dal 1° giugno al 1° settembre, ma esclusivamente in salita. Un paio di tratti al 22% e una pendenza media che per 5 km è superiore al 15% rendono impossibile effettuare la discesa che è possibile solamente utilizzando una telecabina a pagamento.

Fino ai primi anni del Novecento, Gorizia era una località di villeggiatura dell’Impero Austro-Ungarico. Scavalcate le Alpi, la nobiltà e la borghesia viennesi edificava- no le loro seconde case in questa cittadina nontroppolontanadallosboccosull’Adria- tico offerto da Trieste. Nel corso del tempo, la multietnicità di Gorizia si è tradotta in una proposta culturale capace di rispecchia- re quella che è la sua posizione geografica: periferica in Italia, centrale in un contesto continentale. Il programma di Go! 2025 - il calendario di eventi organizzati fra Go- rizia e Nova Gorica - è caratterizzato dalla multidisciplinarietà e da un respiro internazionale. Mostre, conferenze, concerti, balletti, marce, un vero e proprio banchetto per i neuroni che proseguirà fino alla fine dell’anno.

Il castello è il cuore antico di Gorizia, una fortificazione dell’XI secolo che domina la città ed è il frutto di una serie di modifiche, soprattutto quella successiva ai bombardamenti della Prima Guerra Mondiale. Ai suoi piedi si trova la piazza della Vittoria sulla quale si affaccia la Chiesa di Sant’Ignazio, ideale punto di partenza per gli itinerari cicloturistici che abbiamo percorso alla fine dell’inverno. Da qui, passando attraverso la Galleria Giorgio Bombi, si raggiunge in poco più di un chilometro il valico del Rafut nel quale si trovano il Museo del contrabbando e il Museo del Lasciapassare, una mostra multimediale che racconta le storie, talvolta al limite del grottesco, della vita del confine. Quelle dei contadini che, a partire dal 1947, dovevano camminare per chilometri per poter raggiungere la proprietà situata a pochi metri dalla loro abitazione, ma in un altro Paese. Quelle degli scambi commerciali che avvenivano fra Italia e Jugoslavia: sigarette, dischi, magliette, jeans e scarpe scambiati con carne, marmellate, miele e dolci a buon mercato. Quelle legate a domenica 13 agosto 1950, il giorno in cui migliaia di jugoslavi, incuranti degli altolà delle guardie di frontiera titine, fecero irruzione in territorio italiano senza autorizzazioni, per poter abbracciare i loro cari, ma soprattutto per acquistare prodotti che non erano disponibili nel loro Paese. Le ramazze di saggina andarono letteralmente a ruba e quel giorno di invasione pacifica è passato alla storia come “la domenica delle scope”. Alla fine della 

Seconda Guerra Mondiale, quando i vincitori decisero i confini dei vinti, una nobile goriziana, la contessa Lyduska, contattò l’amica Sarah Churchill affinché intercedesse con il padre Winston per deviare di alcuni metri la linea di frontiera in modo da far rimanere la propria villa in territorio italiano. A partire dalla seconda metà degli anni Quaranta, le professioni legate alla nuova frontiera trasformarono Gorizia da una città turistica a un centro in cui molti profitti provenivano dalla sorveglianza e dall’economia di scambio.

Pedalando per un chilometro sulla ciclabile realizzata sulla linea di confine si raggiunge Piazza della Transalpina. Dal 1947 al 2004 questo spazio è stato diviso da un muro, una storia che ha molti punti di contatto con quella di Berlino. Nei tre anni precedenti l’ingresso sloveno nell’area Schengen e la conseguente eliminazione delle dogane e dei valichi di frontiera, sull’area di Piazza della Transalpina è stata possibile la

libera circolazione. Ogni barriera materiale fra Gorizia e Nova Gorica è caduta nel 2007. Davanti alla sontuosa stazione ferroviaria, la piazza è oggi uno spazio aperto nel quale si può sconfinare indisturbati. Una placca metallica all’interno della pavimentazione demarca la linea di confine. A pochi metri di distanza sventolano le bandiere italiana, slovena ed europea. Da questo luogo che rappresenta concretamente l’accidentato percorso dell’integrazione europea si attraversa il centro di Gorizia per superare l’Isonzo sul Ponte del Torrione. Da qui la strada comincia a salire verso le colline del Collio. Un paio di chilometri e si arriva al maestoso Sacrario militare di Oslavia che custodisce le ossa di più di 57mila soldati caduti nella Prima Guerra Mondiale. Non lontano, oggi in territorio sloveno, si staglia l’imponente Monte Sabotino.

Le pendenze si fanno più esigenti quando si raggiunge San Floriano del Collio, ultima località prima di sconfinare in Slovenia, dove il Collio diventa, nella denominazione locale, Brda. Da un lato all’altro del confine il paesaggio è dominato dai vitigni. Fra Hum e Kojsko, in località Stegaršče, vale la pena fare una breve deviazione di 250 metri fino alla suggestiva chiesetta di Sveti Kritž. Al termine di una rampa degna di un muro ardennese, si trova una delle molte finestre del progetto Collio Brda Welcome, piccole strutture coperte allestite con tavolo e pensate per far ammirare il panorama a chi viene da lontano. Recuperata la strada principale si giunge a Gonjače, con i suoi 296 metri il punto più alto dell’intero itinerario. Dopo un chilometro di discesa si arriva a Šmartno, San Martino Collio nella traduzione italiana. Questo borgo fortificato e abbracciato dalle mura di cinta conserva le cinque torri e la chiesa eponima, la più grande del Brda, il Collio sloveno. Dal XVI al XVIII secolo fu un importante punto strategico degli Asburgo che i Veneziani tentarono invano di espugnare. Šmartno offre uno dei panorami più affascinanti dell’intero Brda. Lo sguardo si allunga a perdita d’occhio fino alla pianura del Friuli Venezia Giulia, abbraccia la catena alpina e le alture del vicino Carso.

L’ascesa che porterà i corridori a Šmartno e, poco dopo, a Gonjače, sarà l’unica difficoltà della quattordicesima tappa del Giro d’Italia. Non è la prima volta che il Giro d’Italia transita sulle colline del Collio. A Medana una vecchia Pinarello dipinta di rosa è la traccia di un recente passaggio della corsa attesa nel penultimo weekend di maggio. Anche se quest’anno Tadej Pogačar non sarà in gara, è facile immaginare che i tifosi sloveni si riverseranno sulle strade per incitare il loro connazionale Primož Roglič che, all’età di 35 anni, proverà a fare il bis dopo il successo di due anni fa. Otto degli ultimi quindici Grandi Giri sono stati vinti da corridori sloveni, nel 2024 c’è stato addirittura un en plein riuscito finora solamente alla Francia nel 1964, alla Spagna nel 2008 e all’Inghilterra nel 2018. Asfalto perfetto, strade poco trafficate e una serie di bike lane per migliorare la sicurezza di chi pedala fanno del Collio Brda un territorio a misura di ciclista.

La discesa verso Gradič chiude la strada di cresta e segna il ritorno in territorio italiano. Con un po’ di fortuna, pedalando nelle Paludi del Preval si può ammirare la fauna aviaria tipica delle zone umide. Il nostro passaggio suscita il clamore di un gruppo di oche. Le due rampe di Ceglo e Subida precedono l’arrivo a Cormons, località nota per la sua produzione vinicola nella quale spicca un DOC autoctono: il Ribolla Gialla. Ogni anno, in prossimità dell’equinozio d’autunno, Cormons ospita la partenza e l’arrivo della Collio Brda

Classic, una ciclostorica a numero chiuso che si disputa sulle colline del goriziano. La pedalata riservata alle biciclette d’epoca alterna asfalto e strade bianche, sconfina in territorio sloveno e gratifica i partecipanti con le specialità enogastronomiche locali. Dopo Cormons l’itinerario si fa pianeggiante: Medea e Mariano del Friuli precedono l’arrivo a Gradisca d’Isonzo, cittadina ricca di parchi la cui rilevanza strategica in ambito militare è rivelata dalla cinta muraria ben conservata. Superando il ponte sull’Isonzo si risale la sua riva sinistra arrivando nell’area industriale di Gorizia dove ci si immette su una pista ciclabile che riporta al punto di partenza.

L’itinerario lagunare prende le mosse dal centro cittadino e ripercorre la strada che costeggia l’Isonzo fino alla piccola frazione di Peteano. Da qui inizia la strada che conduce sul Carso, luogo che è stato teatro di aspre battaglie nel corso della Prima Guerra Mondiale. L’attacco della salita è al 12%, successivamente le pendenze si attenuano. Quello che fino a un secolo fa era uno sterile crinale disseminato di residuati bellici e di trincee è oggi foresta. In tre chilometri e mezzo si sale fino ai 260 metri di Monte San Michele, dal cui belvedere si può godere di uno straordinario panorama. La vegetazione ha inghiottito i campi di battaglia della Grande Guerra, ma non i camminamenti, le caverne e i ricoveri utilizzati durante il conflitto. È in questi luoghi che il poeta Giuseppe Ungaretti ha raccontato l’esperienza straziante della guerra, come ricorda un sentiero che percorre i boschi di questa altura. La discesa conduce a San Martino del Carso, poi a Doberdò del Lago e quindi a Ronchi dei Legionari, sede dell’aeroporto di Trieste collegato alla Variante dell’aeroporto della ciclovia FVG2 e, quindi, ideale per i cicloviaggiatori che approdano in regione via aria e vogliano mettersi in sella una volta sbarcati.

Dallo scalo triestino, seguendo una serie di strade secondarie, si oltrepassa l’Isonzo per raggiungere Aquileia. Nel II secolo questo piccolo comune a pochi chilometri dall’Adriatico fu, con i suoi 100.000 abitanti, una delle città più popolose del mondo. Fondata dai Romani nel 181 a.C., Aquileia è uno dei siti archeologici più ricchi del Nord Italia. Fulcro del centro storico è la Basilica di Santa Maria Assunta, fulgido esempio di architettura paleocristiana che custodisce il più antico mosaico cristiano e, con i suoi 760 m2, il più grande dell’Occidente. Le tracce dell’antico splendore di questo sito sono ovunque: nel Foro Romano, nei resti del Porto Fluviale, nella Domus e nel Palazzo Episcopale. Per gli appassionati dell’arte musiva Aquileia è una meta imprescindibile. La località si trova sul tratto terminale dell’Alpe Adria, la ciclovia di 410 km che unisce Salisburgo e Grado e che nella rete regionale del Friuli Venezia Giulia è identificata come FVG1. Pedalando per cinque chilometri sulla ciclovia si raggiunge Pontile Belvedere, località che segna l’ingresso in laguna e il tratto ciclisticamente più spettacolare dell’intero itinerario, quattro chilometri e mezzo di strada in mezzo alla laguna, per raggiungere Grado. Collegata alla terraferma dal 1936, questa località è conosciuta come “figlia di Aquileia e madre di Venezia”. Fu qui che, nel 452 d.C., gli abitanti di Aquileia si rifugiarono per sfuggire ai saccheggi degli Unni e fu da qui che i patriarchi locali migrarono verso l’attuale capoluogo veneto nell’Alto Medioevo. Nel centro storico, la Basilica di Sant’Eufemia, il battistero e la chiesa di Santa Maria delle Grazie sono una vivida testimonianza della sovrapposizione fra il crepuscolo della dominazione romana e l’espansione del cristianesimo.

Il centro storico gradese rappresenta il giro di boa di questo itinerario. La pedalata prosegue verso Grado Pineta e, successivamente, verso la Riserva naturale regionale della Valle Cavanata. Una serie di strade poderali conducono a Fossalon di Grado per superare l’Isonzo sul ponte che ne precede la foce. In prossimità dell’aeroporto di Trieste si ritrova la pista ciclabile che conduce sino a Ronchi dei Legionari. Da qui il rientro su Gorizia segue l’Anello della Grande Guerra. Si transita per Redipuglia, località situata ai piedi del Carso dove si trova il Sacrario Militare che custodisce le salme di 100.000 caduti durante la Prima Guerra Mondiale. Si supera un’altra volta il fiume giungendo a Gradisca d’Isonzo, per poi pedalare per una decina di chilometri fino a Lucinico e da qui tornare al punto di partenza.

La varietà del paesaggio all’interno di una singola giornata in bicicletta non è l’unico punto di forza del Friuli Venezia Giulia. In questo crocevia di culture, l’esperienza ciclistica è un movimento spazio temporale che consente, in poche decine di chilometri, di posare lo sguardo su un castello medievale, un Foro Romano, un sacrario della Prima Guerra Mondiale o un’austera architettura dell’epoca asburgica. Un intreccio di natura e cultura di cui, grazie alla mitezza del clima, si può godere in tutti le stagioni. 

Autore: Davide Mazzocco Immagini: Alessandra Bucci

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