PICCOLO È PIÚ BELLO

Il Tour de France e' l'evento sportivo piu' grande al mondo e continua a crescere. Ci siamo chiesti se lo stia facendo il modo sostenibile e addirittura desiderabile in un mondo che ha bisogno di cambiare.

 

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Il ciclismo e le biciclette, ci piace dirlo, contribuiranno a salvare il mondo. Questo però, solo se il ciclismo professionistico non lo distruggerà prima.

Il Tour de France e la gare di ciclismo in generale sono così impattanti per l'ambiente, che associare le corse all'importante movimento di incoraggiamento all’utilizzo della bicicletta e alla mobilità sostenibile, è impossibile. Parliamo sempre di biciclette ma di due cose completamente differenti tra loro. L'elenco delle incongruenze è lungo e ovvio: squadre sponsorizzate da imperi petroliferi come Emirati Arabi Uniti e Bahrein, o da aziende del comparto chimico come Ineos e - in passato - Orica. Un numero di veicoli al seguito delle corse francamente imbarazzante, 150 mezzi calcolando solo la carovana pubblicitaria, la quale ha come obiettivo quello di distribuire una quantità assurda di gadget in plastica ai tifosi in attesa della corsa a bordo della strada. Il ciclismo è anche uno sport che fa spostare, con qualsiasi tipo di mezzo migliaia di persone da un luogo all'altro del pianeta, di settimana in settimana per nove mesi all'anno. A volte anche le gare a tappe di tre settimane prevedono trasferimenti e salti incomprensibili da una nazione a un altra. Per fare un paragone: la Formula1 conta nel suo calendario 22 gare; il WorldTour maschile ne ha 35, ma bisogna calcolare che spesso i team a caccia di punti sono impegnati nello stesso periodo su più competizioni.

Il sesto incontro intergovernativo di esperti mondiali sul cambiamento climatico ha avvertito, nell'agosto dello scorso anno, che è necessario agire immediatamente e radicalmente per passare il più velocemente possibile a un'economia a basse emissioni di carbonio.

Oltre ai dati degli scienziati, per chi ha vissuto abbastanza a lungo per rendersene conto, ci sono aneddoti e impressioni personali che confermano la sensazione che il clima sta cambiando.

Il 2022 è stato il Tour de France più caldo che io ricordi, più caldo anche della mini-ondata di calore che ha colpito il secondo giorno di riposo della corsa del 2019 a Nîmes, quando sono dovuto tornare nella mia camera d'albergo per fare una doccia fredda, l'unico sollievo possibile dal caldo bruciante (amo il caldo e in genere lo tollero bene, ma Nîmes era come un forno, quell'anno). Furono pochi i giorni di caldo nel 2019, intervallati da una tappa piovosa sui Pirenei e da tempeste alpine che avevano provocato la frana nella tappa decisiva di Tignes. Nell’edizione di quest'anno invece il caldo è iniziato non appena la gara ha lasciato la Danimarca ed è continuato praticamente per tutto il resto del tempo fino a Parigi. Nel 2022, anche le tappe in quota sono state calde; le tappe nel Massiccio Centrale e soprattutto in Dordogna sono state roventi. Mi sembra tutto così assurdo che ho l’impressione di essermelo sognato, ma all’ultimo Tour de France sono state impiegate autobotti d'acqua per bagnare le strade roventi del sud della Francia, per raffreddarle e consentire agli spettatori a bordo strada di non andare incontro a colpi di calore. Un po’ come dare una mentina a un malato terminale, sperando che possa guarire. Le colpe del cambiamento climatico non possono essere attribuite agli organizzatori del Tour ovviamente, in ogni caso tutti abbiamo sofferto un caldo soffocante e opprimente che non ha mollato per tutte e tre le settimane di corsa ed è continuato per settimane anche dopo la fine del Tour. Tutto questo francamente, è surreale e spaventoso.

Il Tour è vittima del cambiamento climatico, ma ne è anche una causa.

L'entourage del Tour de France è composto da migliaia di persone. Le squadre contano corridori, manager, cuochi, soigneur, meccanici e altro ancora e quasi sempre portano in corsa sponsor e ospiti, che viaggiano tutti utilizzando un grande numero di veicoli. Oltre alle ammiraglie ci sono i camion dei meccanici e gli autobus delle squadre. Il Tour stesso, per poter funzionare, ha un piccolo esercito di personale costantemente in viaggio: addetti al marketing, alla sicurezza, alla logistica, alla carovana, alla disposizione di striscioni, gonfiabili e transenne, e altro ancora. I giornalisti poi sono molte centinaia di persone, oltre a molte altre centinaia di personale a loro supporto come tecnici, cameramen, montatori, eccetera. Oltre a tutto questo, decine di migliaia di appassionati si spostano per assistere alla corsa ogni giorno. Alcuni possono arrivare a

Il Tour, insomma, è catastroficamente negativo per l'ambiente. Così come lo sono il Giro d’Italia e la Vuelta. 

Il ciclismo dovrà apportare cambiamenti radicali, che andranno oltre l'elettrificazione dei veicoli da corsa e la piantumazione di alberi da qualche parte sul pianeta. Si discute da anni senza arrivare a risultati concreti sulla struttura del calendario, senza considerare la possibilità, auspicata da molti, di ridurre il numero delle gare WorldTour, o della suddivisione in calendari e leghe diverse. Le gare potrebbero essere suddivise geograficamente in modo da ridurre al minimo gli spostamenti, invece di attraversare il pianeta da un continente a un altro per la disputa di qualche gara soltanto. 

Tutto ciò potrebbe comportare necessariamente un ridimensionamento del circuito e delle gare. Lo sport moderno segue le regole del capitalismo moderno secondo cui la crescita è sempre un dato positivo e può continuare all'infinito. Qualunque sia la vostra opinione su questo principio, nella vita o nello sport, la realtà ridurrà presto il numero di risposte possibili. Un Tour de France più piccolo può sembrarci oggi, ovviamente, meno eccitante della sua attuale versione. Tuttavia vale anche la pena di valutare la possibilità di uno sport più sostenibile, più inclusivo, più tollerabile in un contesto dove ciascuno – singola persona o azienda – è tenuto a fare la propria parte.

I manifestanti della Dernière Rénovation indossavano magliette che recitavano: "Ci restano 978 giorni", a indicare quanto presto ritengano che sia necessario agire in modo radicale. Il 2025 è stato definito dal panel degli esperti mondiali sul cambiamento climatico il punto di non ritorno. Gli organizzatori dei grandi giri e il ciclismo per quella data, probabilmente, non saranno ancora pronti.

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