"Più persone in bicicletta e fare educazione stradale." I punti di Omar Di Felice per avere strade più sicure.

Abbiamo parlato con l'ultra-ciclista romano di sicurezza stradale, e di cosa bisognerebbe fare per avere strade più sicure.

Omar Di Felice sta pedalando su un’autostrada ghiacciata. All’ultra-ciclista romano piacciono il freddo e la neve. Sono diventati il suo marchio di fabbrica. Pedalare da solo in universi perduti, fatti di neve, ghiaccio e tanto silenzio.

Tuttavia, attraversare le autostrade ghiacciate dell'Alaska, Canada del Nord e paesi Scandinavi è qualcosa che spaventa pure lui. Non tanto per le superfici scivolose e instabili — a quelle ci è abituato. Quello che fa più paura sono i TIR mastodontici (i truck nord-americani) che percorrono queste strade dimenticate da Dio. Strade che quando va bene sono di asfalto ghiacciato, oppure corsie di fortuna scavate dagli spazzaneve su laghi ghiacciati. Le avventure e spedizioni di Di Felice in paesaggi imbiancati sono diventate i suoi marchi di fabbrica. Foto: 6stili

Immaginate poi la sorpresa per l’autista di uno di quei TIR quando si vede in mezzo alla strada, all’improvviso, la sagoma di un ciclista solitario. Deve sembrargli un miraggio. Lo scambia per un animale, oppure un altro ostacolo da superare.

Di Felice, quando sente e vede il bestione avvicinarsi a tutta velocità, spera che gli vada tutto bene. Spera che il camion lo superi e che continui il suo cammino in quell’universo congelato. 

Poi, però, succede qualcosa che Di Felice ricorderà per sempre. E che spesso definisce come uno dei giorni più belli della sua vita.

“[L’autista] mi ha passato e ha guardato dal finestrino. Pensavo mi stesse per dire qualcosa, poi in realtà ha tirato fuori il telefono, ha fatto una foto e io l’ho ringraziato con la mano,” ricorda. “Infatti si vede questa foto in cui io lo ringrazio con la mano e lui se ne va via con sto TIR, sto track enorme.” Di Felice ringrazia il TIR che lo ha superato lasciandogli molto spazio di sicurezza. Foto: Omar Di Felice

Quel gesto di saluto non è un episodio isolato. Più volte, infatti, in quelle lande desolate dove il 40enne romano rischia di più che su qualsiasi altra strada — gli automobilisti si sono mostrati più rispettosi nei suoi confronti che non quando pedala su strade più frequentate.

“Mi ritrovo spesso a pedalare su strade estreme e molto difficili, come in Canada del Nord, Alaska e Finlandia. Dove ci sono strade dedicate solamente ai TIR che sono quattro volte tanto i nostri come dimensioni," racconta. "E nonostante ti incontrino d’inverno, da solo, sul ghiaccio, e tu sia obiettivamente un ostacolo per loro, hanno sempre un gesto di attenzione nei tuoi confronti. Ed è un gesto di attenzione che purtroppo in Italia non si ritrova.”

Ma senza per forza ricadere nel luogo comune dei paesi nordici come paradisi di civiltà rispetto alla maleducazione di quelli del sud Europa, Di Felice — che lo scorso mese ha pedalato da Milano a Glasgow per parlare alla conferenza delle Nazioni Uniti sul Cambiamento Climatico COP26 — fa anche un esempio di cultura della mobilità più vicino a noi.Di Felice alla COP26 di Glasgow, dove è arrivato in bicicletta partendo da Milano.  Foto: Omar Di Felice

“Mi capita anche quando pedalo in Spagna o in Francia," racconta. "Culturalmente, i nostri cugini francesi e spagnoli, sono molto simili a noi. Eppure in Spagna, la cultura della bicicletta e della mobilità in bici è superiore, il rispetto verso il ciclista maggiore e c’è una concezione del muoversi in bicicletta molto più avanzata.”

La cultura del ciclismo in Italia

Di Felice ha pedalato in tutto il mondo. E per esperienza personale, in Italia — oltreché una serie di leggi sulla mobilità e più infrastrutture dedicate ai ciclisti — quello che manca è il rispetto della persona che si muove in bicicletta.

“Il più delle volte il ciclista viene visto come una persona che non ha nulla da fare, che sta perdendo il suo tempo, che si sta divertendo,” dice Di Felice. “Invece l’automobilista in strada è qualcuno che sta investendo il suo tempo per andare a lavoro.”

E la grande diatriba tra automobilisti contro ciclisti, che di recente è stata infiammata da una satira di poco tatto nei confronti dei morti in bicicletta sulle nostre strade, spesso si dimentica di un punto fondamentale. Andare in bici non è solo divertimento e perdita di tempo. Per Di Felice è anche lavoro, oltreché un modo di esprimersi e godere degli spazi aperti. Foto: 6stili

“Tutti dimenticano che siamo esseri umani,” spiega Di Felice. “Non siamo automobilisti o ciclisti. Siamo esseri umani.”

Eppure, in quei momenti, quando ci sentiamo collocati da una parte o dall'altra della barricata (automobilista o ciclista), pensiamo di più a chi ha torto e a chi ha ragione, e non a rispettarci e proteggerci a vicenda.

“Un’automobilista che dice ‘io sto nel giusto perché tu stai andando in bici e ti stai divertendo’, si sente quasi automaticamente autorizzato a compiere qualunque tipo di azione o comportamento,” spiega Di Felice. “Senza capire che di fronte hai degli esseri umani [i ciclisti] che hanno un tasso di vulnerabilità maggiore rispetto a quello che si ha in automobile.”

Regole per tutti

Ovviamente, a fare gli avvocati del diavolo, bisogna anche ammettere che in Italia siamo un po’ allergici alle regole, e che spesso anche i ciclisti abusano della loro vulnerabilità per commettere infrazioni più o meno gravi. Di Felice e la sua Willier affrontano un altro tratto ghiacciato e delicato. Foto: 6stili.

“Anche i ciclisti devono imparare che non si passa col rosso e che si rispettano le precedenze,” spiega Di Felice. “La strada è un luogo dove vigono delle regole e bisogna rispettarle. Ovviamente, come ciclisti, dobbiamo rispettarle e sapere come si sta in bicicletta in mezzo al traffico. Non possiamo fare quello che vogliamo e girare come gruppi di pecore.”

Quali sarebbero, dunque, i principali punti che Di Felice implementerebbe per migliorare la sicurezza sulle nostre strade e un rapporto spesso problematico tra automobilisti e ciclisti? 

Primo punto: più persone in bicicletta

“Il punto fondamentale è quello di educare le persona a usare la bicicletta,” spiega Di Felice. “Quante più persone si muovono in bicicletta, e tanto più alto sarà il grado di sicurezza, perché numericamente ci saranno più bici che auto.”

Secondo Di Felice, infatti, da un punto di vista psicologico, il trovarsi in minoranza porta l’essere umano a non sentirsi il più forte. Quindi, se gli automobilisti si ritrovassero in strade con più biciclette che macchine, si sentirebbero in minoranza – più deboli – e presterebbero più attenzione.

Secondo punto: l’educazione stradale nelle scuole guida

Secondo Di Felice, avere più persone in bicicletta e fare educazione stradale nelle scuole sono due dei cardini per avere strade più sicure. Foto: 6stili 

Il secondo punto, per Di Felice, è quello di educare le persone allo stare in strada con diversi mezzi.

“Nelle scuole guida bisogna insegnare a stare sulla strada, non soltanto con un mezzo a motore, ma a stare sulla strada nel vero senso della parola,” spiega. “Fare educazione stradale e trasmettere quali sono le regole per vivere in strada. Se prendi un ragazzo di 18 anni, per esempio, e gli fai fare 2/3 giri in bicicletta in mezzo al traffico, capisce automaticamente il senso di nudità che proviamo quando ci muoviamo in bicicletta.”

Terzo punto: l’educazione stradale nelle scuole dell’infanzia

Un momento importante dell'educazione stradale è anche l'infanzia, quando i bambini usano ancora la bicicletta come mezzo di trasporto e di gioco.

“Il bambino quando cresce vede nella bicicletta il primo mezzo di libertà,” spiega Di Felice. “Il problema è che poi viviamo in una società in cui questo mezzo di libertà lo perdi quasi subito, perché si passa al motorino, alla macchinetta a due posti, e poi si finisce all’auto. E ci dimentichiamo quale sia il valore della bicicletta.”Per Di Felice la bicicletta è ancora un grande momento di libertà e avventura. Foto: 6stili

Una volta elencati i punti cardine del suo piano per sensibilizzare le persone alla sicurezza stradale, Di Felice ha anche un piano per metterlo in atto — con idee precise e soggetti ai quali rivolgersi.

Dalla teoria alla pratica

“Bisogna cominciare a presentare la bicicletta non solo come mezzo sportivo, ma anche come mezzo di mobilità,” spiega. “E in questo serve sia il lavoro dell’industria della bicicletta che dei media. Dal lato media, non possiamo continuare a vedere canali televisivi che ospitano satira sui morti in bicicletta, come è successo recentemente con il caso del comico in Italia.”

La ricezione dei messaggi da parte delle istituzioni è una condizione fondamentale in questo progetto.

“Ovviamente servono anche gli interventi della politica e in Italia serve una legge forte sulla mobilità,” aggiunge. Di Felice sempre alla COP26 di Glasgow a inizio novembre. Foto: Omar Di Felice

Tramite i suoi canali social e la sua figura pubblica, Di Felice ha già da tempo iniziato il dibattito con le istituzioni. A novembre, per esempio, era ospite di una diretta con Simona Larghetti, consigliera comunale di Bologna. 

“Bologna è un’eccellenza italiana in termine di mobilità. Però, partire dal locale e arrivare al generale è difficile e non basta l’azione di Omar," continua. "Servono tutte le parti in causa. C’è una forte responsabilità da parte dei media e dell’industria. Devono dialogare con la politica e far capire l’importanza della bicicletta.”

Una delle leve che potrebbero cambiare la percezione politica della mobilità in bicicletta, infatti, è quella economica — un argomento che non è ancora stato colto come potenziale area di sviluppo. 

“Qualcuno la chiama la bike economy,” conclude Di Felice. “La bicicletta ha un potenziale per l’economia che se i politici arrivassero a capirla, vedi come saltano fuori le leggi, le riforme del codice della strada, e tutti i piani sulla mobilità sostenibile. Il problema è che non riescono a capirla perché probabilmente non riusciamo ancora a veicolare quello che è l’importanza della bicicletta in ambito di mobilità urbana.”Una cosa è sicura, però. Omar Di Felice continuerà a pedalare, a pianificare grandi avventure in mondi di neve e ghiaccio. E porterà con sé un messaggio semplice, ma di grande importanza: con più biciclette sulle nostre strade, le strade sarebbero più sicure e anche la nostra società potrebbe stare un po' meglio.

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