Se chiude gli occhi, Lachlan Morton sogna di essere ancora in sella alla sua bici. Sono passate tre settimane da quando ha concluso il suo giro di 14.200 chilometri intorno all'Australia, ma i ricordi non l'hanno ancora abbandonato. Per un mese intero, Morton ha pedalato oltre 450 chilometri al giorno attraverso paesaggi desolati, raggiungendo infine il suo obiettivo di completare un anello intorno all'intero continente in senso antiorario, stabilendo il tempo più veloce mai registrato.
“Sta migliorando ora, ma per un po', ogni volta che dormivo era come se stessi ancora pedalando”, racconta Morton con una scrollata di spalle. “Dopo un paio di settimane, il mio corpo ha iniziato lentamente a riprendersi e ho cominciato a sentirmi di nuovo me stesso. Avevo solo le gambe molto doloranti, il che è abbastanza normale. Mi svegliavo ogni giorno con la sensazione di aver fatto un lungo giro il giorno prima”.
Morton non è nuovo alle sfide di ultra-endurance, ma l’impresa australiana è stata di gran lunga il percorso più lungo che abbia mai completato, oltre che uno dei più gratificanti. Spiega che l’idea dietro il progetto era quella di tornare alle sue radici, rendendo omaggio al luogo in cui la sua avventura nel ciclismo era iniziata quando era bambino.
“La motivazione iniziale è stata fare qualcosa insieme a mia moglie Rachel [che ha fatto parte del team di supporto durante la traversata] e coinvolgere il gruppo in questo viaggio”, riflette il 33enne. “Volevo fare qualcosa in Australia, ed è stato davvero bello tornare a Port Macquarie, il luogo dove sono cresciuto, per iniziare e finire lì, sulle strade dove mi allenavo da ragazzino. Nel team c’era anche Graham Sears, il mio primo allenatore, e questo ha conferito al progetto un senso di compiutezza, come se il cerchio si fosse chiuso".
Morton durante il suo giro record dell'Australia (Immagine: EF Education-Easypost)
Durante questo viaggio di un mese, Morton ha vissuto momenti di riflessione e di rinascita personale, ma non ha nascosto le difficoltà affrontate, sia fisiche che mentali. È stata una delle prime imprese di ultra-endurance che ha completato interamente su asfalto e con il supporto di un team, un’esperienza unica nel suo genere.
"È stato diverso, ho pedalato tantissimo ogni giorno. L'Australia è molto pianeggiante, e questa particolarità ha rappresentato una sfida unica: la durata. È stato molto più lungo di qualsiasi altra cosa avessi mai fatto", spiega Morton. "Nella prima metà, la sfida era più fisica, poiché il corpo si stava adattando. Poi è diventata più mentale: si trattava di trovare il modo di superare giornate interminabili su enormi distese di terra senza alcuna variazione. Avere amici e familiari al mio fianco ha reso tutto un po' più semplice".
Morton ricorda in particolare il tratto del Nullarbor Plain, un’area quasi priva di alberi e molto arida, nel sud dell’Australia: "Ho avuto incontri molto ravvicinati con i camion, ed è stata l’unica volta in cui ho considerato di fermarmi, perché era davvero spaventoso. Cercavo di gestire quel rischio. A essere onesti, ad ogni momento della giornata mi chiedevo: come farò a portare a termine tutto questo? Mi fa male tutto, e iniziare al buio, completamente da solo, è davvero scoraggiante".
Come in tutte le sue sfide di ultra-endurance, anche in questa occasione c’era una causa sociale importante che spingeva Morton a continuare. Durante il suo giro dell’Australia, ha raccolto oltre 150.000 dollari per l’Indigenous Literacy Foundation, un’organizzazione che aiuta i bambini nelle comunità remote australiane a leggere libri nelle loro lingue native.
"La motivazione iniziale era semplicemente fare qualcosa che potesse aiutare le comunità attraversate dal nostro percorso, cercando di lasciare un impatto positivo", aggiunge Morton.
Sebbene questa impresa personale abbia segnato una parte significativa dello scorso anno, Morton non ha mai abbandonato le sue radici agonistiche. Ha infatti preso parte – e trionfato – in una delle gare gravel più prestigiose del calendario: l'Unbound 200, spesso definita una sorta di Campionato del Mondo gravel. Una vittoria che, con ogni probabilità, rappresenta il risultato più importante della sua carriera, attirando l'attenzione dei media e raccogliendo elogi unanimi dal mondo del ciclismo.
"Partecipare a una gara gravel è un'esperienza completamente diversa rispetto a un'impresa solitaria. In gara, ti trovi in un ambiente altamente competitivo, circondato da molte altre persone; mentre, quando affronti qualcosa da solo, la motivazione dipende interamente da te ed è solo tua la decisione su come procedere", spiega Morton. "Le sfide fisiche sono profondamente diverse, ed è proprio questa varietà a rendere tutto più stimolante".
Foto: James Startt
L’approccio di Morton all’Unbound 200 è stato indubbiamente diverso rispetto a quello degli altri partecipanti sulla linea di partenza. Non è un segreto che le gare gravel siano diventate sempre più orientate alla performance nelle ultime stagioni, con lo stesso Morton che, lo scorso anno, ha dichiarato che questa disciplina si sta avvicinando sempre più al ciclismo su strada. Una disciplina da cui si è ritirato nel 2021, citando una mancanza di entusiasmo per le pressioni mentali legate al completamento di un calendario WorldTour. Tuttavia, Morton ha trovato un nuovo stimolo nelle gare gravel, partecipando per diversi anni al Lifetime Grand Prix, il circuito off-road più prestigioso degli Stati Uniti.
"Prima dell’Unbound, mi stavo un po’ chiedendo cosa stessi facendo in gara", spiega Morton. "Così mi sono preso una pausa, sono andato in vacanza e sono tornato alle basi. Mi allenavo sempre, ma pedalavo senza preoccuparmi troppo del risultato. Mi sentivo in forma prima della gara, ma sapevo che il livello dei partecipanti era molto alto. Quando abbiamo iniziato, però, ho avuto una sensazione particolare, che mi ha fatto alzare le aspettative".
Pur ammettendo di aver adottato un approccio essenziale agli allenamenti, l’attenzione ai dettagli nella scelta della bici e dell’equipaggiamento per il giorno della gara ha dimostrato che Morton non ha trascurato nulla per ottenere quei piccoli miglioramenti che fanno la differenza: "Rapha aveva preparato una tuta aerodinamica che è arrivata pochi giorni prima. Tom, il nostro meccanico, aveva lavorato ai Campionati Nazionali su Strada negli Stati Uniti con il team e aveva uno di quei caschi aero nel suo garage. L’ho provato durante un allenamento e ho deciso di usarlo. Sono tante piccole cose, ma ormai fa parte del gioco. Il ciclismo è così: si evolve continuamente. È stato lo stesso su strada: tutti hanno iniziato a indossare tute aerodinamiche e io pensavo fosse una sciocchezza, continuavo a usare una maglia. Ma arriva un momento in cui ti rendi conto che ormai il mondo funziona cosí, e allora ci stai: indossi la tuta", conclude Morton ridendo.
Morton vince la Unbound 200 (Immagine: Dan Hughes)
Mentre Morton si avvicinava al traguardo dell’Unbound Gravel, si è trovato a sfidare Chad Haga, un altro ex professionista su strada, in uno sprint a due. La capacità del ciclista australiano di leggere la gara e il suo intuito tattico sono emersi chiaramente negli ultimi metri dell’evento di 200 miglia.
"Chad non aveva mai affrontato quel finale prima, mentre io lo conoscevo meglio. In teoria, pensavo fosse più veloce di me, dato che ha avuto una carriera su strada molto più lunga e consolidata della mia. Io non sono particolarmente veloce, ma riesco a mantenere il ritmo, e questo aiuta in uno sprint dopo dieci ore in bici", spiega Morton.
"Mi ha attaccato a cinque chilometri dal traguardo, cogliendomi di sorpresa, e ho dovuto fare uno sforzo per riportarmi sulla sua ruota. Però le gambe stavano meglio di quanto pensassi, e questo mi ha dato fiducia. Con quel gesto aveva già rotto l’equilibrio tra di noi, dimostrando di non essere sicuro delle sue possibilità nello sprint. Poi ha attaccato proprio ai piedi della piccola salita finale: a quel punto, sono passato sopra e ho guadagnato un margine, ma lui stava ancora recuperando. Ho intenzionalmente rallentato verso il traguardo, facendo sembrare che stessi finendo le energie, così da spingerlo ad anticipare lo sprint. Quel finale è molto ingannevole, e lui ha lanciato lo sprint troppo presto. In quel momento, mi sono messo sulla sua ruota e ho avuto tutto il tempo per contrattaccare con la mia volata".
Nonostante la vittoria all’Unbound, Morton è chiaro: non ha cambiato le sue ambizioni nel ciclismo. Anche se questa gara dimostra che ha ancora il talento e la capacità per essere uno dei migliori, le sfide in solitaria, come il giro dell’Australia, restano una priorità per lui.
"Vincere significa molto: è la gara più importante a cui partecipo e sono ben consapevole che probabilmente non vincerò di nuovo a questo livello. È stato un grande traguardo che giustifica tutto l’impegno che metto nel parteciparvi", afferma Morton.
La vittoria, inoltre, ha dimostrato che l’approccio più rilassato e semplice agli allenamenti del corridore della EF Education-EasyPost può ancora portare a grandi risultati, anche nel panorama sportivo attuale. Morton può vincere senza dover sacrificare tutto per concentrarsi solo sulla prestazione. Pedalare può essere esattamente ciò che lui desidera.
"Sono molto soddisfatto di come ho affrontato la preparazione. Nelle sei settimane precedenti, non ho fatto sacrifici estremi né vissuto in quel modo insostenibile che spesso è necessario per vincere qualcosa", racconta. "Dopo la gara, c’è stato un grande senso di sollievo: sei subito di nuovo a casa e torni alla tua vita di sempre. È stato confortante, in un certo senso. Mi ha aiutato a giustificare il fatto che sto continuando a correre per i motivi giusti. Non è solo per vincere: nulla è cambiato, la mia vita è sempre la stessa. E continuo a divertirmi come prima".
Immagine di copertina: James Startt