IL TOUR DE FRANCE, NELL' IMMAGINARIO DEI TIFOSI

IL TOUR DE FRANCE, NELL' IMMAGINARIO DEI TIFOSI

2020 Tour de France Rouleur Italia Words: Emilio Previtali

È stato un bel Tour de France da seguire, in una stagione anomala come questa chi se lo sarebbe mai aspettato? Alzi la mano chi si sarebbe aspettato un finale così. Pazzesco. C’è da dire però che se anche questo Tour sembra differente dagli altri, in fin dei conti è sempre un po’ uguale a sé stesso. Ci hanno giusto risparmiato qualche tappa soporifera iniziale ma poi il copione è sempre lo stesso, sempre gli stessi sono gli attori, che in fin dei conti devono recitare sempre una propria parte. Il ciclismo ha un grosso problema (che è anche la sua forza) ed è che è ostaggio dell’immaginario dei suoi tifosi. Ci piace l’epicità e la battaglia ma molto spesso conta di più quello che ci raccontiamo tra noi e quello che ci piace ci venga detto, che quello che effettivamente succede in corsa, cioè la realtà.

I corridori a questa stregua non sono più corridori, sono archetipi di corridori. Li idealizziamo, la fatica e lo sforzo che fanno finiscono sempre per rimanere in secondo piano, un dato scontato, irrilevante che fa da sfondo alle nostre convinzioni. Fino a un anno fa Roglic recitava la parte dell'outsider, dell'antagonista fuori dagli schemi: non se lo ricorda più nessuno il saltatore con gli sci infortunato che voleva diventare campione di ciclismo e vincere le tappe andando in fuga solitaria sul Galibier, o puntando tutto sulle cronometro, quando ancora non era chiaro se era uno scalatore, un cronoman o un corridore da grandi giri? Oggi Roglic nel nostro paese viene raccontato come un freddo e distaccato calcolatore, il suo ciclismo uno sport fatto (stando a quanto si legge) di soli watt e di freddezza matematica invece che di spregiudicatezza e di cuore. La sua squadra è descritta come una corazzata che impone all'intero gruppo il proprio volere, è vero, ma fino a due anni fa Roglic correva da cane sciolto. Quella che si dice oggi di Roglic non è forse la stessa cosa che veniva detta di Froome, che a sua volta ai suoi inizi era costretto a mordere il freno per non staccare in salita Wiggins che era il prescelto per vincere il Tour: corridore inglese in una squadra inglese sponsorizzata da un colosso della televisione a pagamento su cui più o meno tutti siamo finiti a guardare il ciclismo. Non era così?

Primoz Roglic ha imparato il ciclismo nell'unico modo in cui lo poteva imparare, cioè dalle basi. Quando ha cominciato a correre seriamente era più vecchio dell'età che ha adesso Pogacar vincitore del Tour de France e ha iniziato dalle cronoscalate di paese e dalle granfondo, quelle in cui se arrivi primo ti premiano con un salame e un cesto alimentare. Roglic è un po' come uno che è arrivato alla finale della Champions League dopo avere iniziato a giocare a calcio nei tornei a 7 giocatori del CSI solo per riprendersi da un infortunio o smettere di fumare. Giù il cappello a Primoz.
Primoz è un campione ma è anche un ciclista umano e fallibile, proprio come noi.

Pogacar è stato come doveva essere, giovane e forte e ha corso nell’unico modo in cui poteva correre: disinvolto, coraggioso, spregiudicato, senza niente da perdere, a 21 anni e senza squadra come vuoi correre? Metti il caso che Aru, a inizio Tour, avesse vinto una tappa e si fosse dimostrato per un paio di giorni il leader che non è riuscito a diventare, ora saremmo qui, noi in Italia, a dire di Pogacar le stesse cose che ci stiamo dicendo adesso? Se avesse fallito, non saremmo qui a dire che è stato “bruciato” e che a 21 anni doveva correre in supporto di qualcun altro?

A Pogacar è successo un po' come a Bernal la scorsa stagione, che si è meritato la posizione di beniamino del pubblico e anche quella di leader della sua squadra perché Geraint Thomas non riusciva a tenergli la ruota. Eppure oggi quel Bernal stanco e appannato è nel nostro immaginario lontano anni luce da quel ragazzo spregiudicato e simpatico che abbiamo amato l’anno scorso. A inizio corsa pure lui quest’anno, in molti, avevano già iniziato a guardarlo con meno simpatia solo per il fatto di essere il leader della squadra più ricca del Tour. Eppure parliamo sempre della stessa persona che ci ha entusiasmato lo scorso anno, soltanto un anno più vecchio, 23 anni fatti a gennaio.

Pogacar non aveva niente da perdere e ha corso a vita persa, rischiando tutto e vincendo tutto. Bravo. A Roglic si può dare soltanto la colpa di non avere avuto gambe nella mezz'ora più importante della sua carriera di ciclista professionista, se ce le avesse avute e fosse arrivato al traguardo una manciata di secondi prima nella prova a cronometro, oggi saremmo qui a fare commenti diversi e a leggere sui giornali che il ciclismo è cambiato e che il predominio della Jumbo-Visma sulla Ineos di Wiggins, Froome, Thomas e Bernal è il segno di una nuova era che comincia, di un nuovo genere di corridori, di un nuovo modo di correre e bla-bla-bla.
Il ciclismo è già cambiato in realtà e quello che ha da offrirci non è poi così male.

Al Tour, ormai è evidente, non cambia quasi mai niente oppure - per fortuna - cambia tutto in una manciata di minuti. Forse questa imprevedibilità e questa difficoltà di fare pronostici sono una buona notizia per un Giro d'Italia che in un anno come questo rischia di essere una specie di carnevale di Rio. Il carnevale di Rio probabilmente, al ciclismo, rischia di fare un sacco di bene.

Poi a Rio a ottobre ci sono 28°C di temperatura media e al Passo Stelvio di solito nevica già, ma quello è un altro discorso.

Foto ASO/Pauline Ballet - Alex Broadway

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