Articolo prodotto in collaborazione con SANTINI e pubblicato su Rouleur Italia 23 - Abbonati oggi stesso per ricevere la tua copia.
“Ogni giorno è un viaggio, e il viaggio è casa”, scriveva il poeta giapponese Matsuo Bashō. Queste parole mi hanno sempre fatto riflettere su come il senso di appartenenza e il sentirsi a proprio agio non derivino necessariamente da un luogo fisico, ma piuttosto dalle esperienze che viviamo. La casa non è solo un posto tangibile fatto di quattro mura, ma uno stato d’animo che possiamo trovare ovunque, a patto che si verifichino certe condizioni. Almeno, questa è l’interpretazione che preferisco, e mi è tornata alla mente chiacchierando con Francesco Bonato, tra i protagonisti di un viaggio in Georgia intrapreso per raggiungere in quattro giorni una meta piuttosto ambiziosa.
La Georgia è una terra aspra e selvaggia, dove ogni strada da percorrere in bicicletta rappresenta una sfida. Fango, neve, frane: ogni metro va guadagnato, mentre le montagne del Caucaso mettono alla prova la resistenza fisica e mentale. Tra picchi imponenti e villaggi remoti, attraverso il racconto di Francesco, scopro come l’ospitalità della gente locale possa trasformare l’esplorazione di un territorio vasto e morfologicamente complesso in un "approdo accogliente", facendo sentire, in certi momenti, davvero “a casa lontano da casa”.
Usciti da Kutaisi, considerata una delle città più antiche del mondo, si pedala in un vasto panorama rurale caratterizzato da scenari di grande impatto visivo. Gli animali pascolano liberamente tra campi e piantagioni di nocciole che si estendono all'orizzonte. Man mano che si prosegue, il territorio diventa sempre più impervio e montuoso, rivelando un ambiente naturale dai colori drammatici che affascina chi è pronto ad affrontare la sfida in bicicletta: “Ho condiviso questo viaggio con Nicola Rossi, che ha scattato le foto insieme a me, e con Anna Campostrini e Matteo Costalunga, entrambi appassionati ciclisti che percorrono ogni anno molti chilometri in bicicletta. La nostra concezione di viaggio si allontana dalla classica vacanza: per noi, viaggiare significa immergersi in un luogo che suscita un mix di emozioni e scoprire qualcosa di nuovo.
La scorsa primavera eravamo alla ricerca di un’avventura insolita, e le montagne imponenti della Georgia ci hanno subito affascinato. Ci piaceva l'idea di affrontare una vera sfida ciclistica per raggiungere una meta difficile da conquistare. La Georgia ci ha conquistati per la sua posizione, relativamente vicina ma al tempo stesso distante, capace di offrire un'esperienza che sembra un mondo a parte.
Abbiamo proposto l’idea a Santini, che si è mostrata entusiasta del viaggio e ci ha fornito tutto l’equipaggiamento necessario per affrontare qualsiasi condizione meteorologica.
È una terra con una cultura unica: guarda molto all'Europa pur avendo radici differenti e influenze evidenti, come quella russa. Situata al confine tra mondi diversi, questo contrasto la rende ancora più affascinante. Durante il viaggio, ci si trova a fronteggiare situazioni imprevedibili: dalle strade alle condizioni meteorologiche, dal cibo all'architettura. Fin dall'inizio, questa avventura ci ha spinti a dirci che volevamo provarci e scoprire cosa ci avrebbe riservato”.
Giunti a Tsalenjikha, il viaggio prosegue nella valle che risale il fiume Enguri. Dopo aver affrontato tornanti stretti e repentini cambi di pendenza, la ricompensa si manifesta con la vista del lago artificiale formato dalla diga Enguri, la più grande della Georgia. Man mano che si risale la valle, il panorama cambia e i profili montuosi di questo territorio, attraversato dalla catena del Caucaso, diventano sempre più aspri e maestosi.
Per oltre cento chilometri, la valle segue il corso del fiume Enguri, alternando tratti relativamente tranquilli a zone più difficili. Lungo il percorso, si scorgono case isolate che sembrano perdersi nel nulla, mentre la strada che si arrampica per guadagnare quota diventa sempre più impegnativa a causa del ghiaccio e della neve.
Oltre i 5000 metri
“Abbiamo viaggiato attorniati da vette che superano abbondantemente i cinquemila metri. Ci siamo ritrovati tra montagne mastodontiche, e questa è stata una sensazione molto forte. Noi siamo abituati alle Alpi e ai Pirenei, ma qui è tutta un’altra cosa. Le popolazioni che hanno abitato queste terre hanno sempre avuto un legame profondo con le montagne. Vi si sono rifugiati per sfuggire agli invasori che, nel corso dei secoli, hanno tentato di assoggettarli. Non volevano sottostare a nessun dominio e si sono ritirati in luoghi che nessun altro voleva abitare. Così, la montagna è diventata non solo una difesa, ma anche il loro ambiente naturale e familiare. C’è un detto locale che riflette questa connessione: ‘La montagna più bella è quella che non hai ancora visto’. Per loro, la scoperta delle montagne è un’esperienza spirituale che permea l’intero corso della vita, offrendo un senso profondo alla loro esistenza”.
Questo Stato del Caucaso meridionale, adagiato sulla riva orientale del Mar Nero, è considerato, dal punto di vista geografico, parte dell'Europa orientale e dell'Asia occidentale. È in questo scenario unico che si inserisce l’itinerario ciclistico del viaggio che Francesco mi racconta, con una tappa a Mestia, la città situata a circa 1500 metri sul livello del mare, ai piedi del monte Ushba.
Mestia si trova all'interno della regione Samegrelo-Zemo Svaneti, e il paesaggio che caratterizza la zona è punteggiato da decine di torri d’avvistamento che testimoniano il suo passato difensivo.
“Per arrivare a Mestia, si attraversa una valle deserta, attraversata da un torrente che scorre alla base. La strada, lunga circa 100 chilometri, continua a salire. Un aspetto particolarmente impressionante è il percorso attraverso questa valle isolata, che si innalza lentamente e si allarga gradualmente, offrendo panorami incredibili. Lungo i chilometri di strada di montagna, che alterna tratti asfaltati a sterrati e spesso diventa impervia, ci siamo imbattuti in diverse frane. L’inverno era appena finito e la stagione estiva non era ancora iniziata: era aprile, un mese in cui il turismo era evidentemente fuori stagione, contribuendo a rendere la valle quasi deserta”.
Una valle che sembra non finire mai, in cui si incontrano solo 3 o 4 centri abitati, piuttosto minuscoli. A volte si tratta di villaggi con appena 4 o 5 case, e lungo il tragitto si vedono anche alcuni ruderi, magari di quello che un tempo era un bar. Per il resto, le tracce dell’uomo sono sporadiche e la natura domina incontrastata: “A un certo punto abbiamo trovato una signora seduta a bordo strada con una fila di contenitori improvvisati, tra cui una bottiglia di Coca-Cola senza etichetta e una tanica. Aveva allestito un banchetto rudimentale. Eravamo all’incirca a metà valle e, senza distributori di benzina, rimanere senza carburante per chi percorre quella strada con un mezzo motorizzato può diventare un grosso problema. Non abbiamo capito subito che si trattava di benzina; solo successivamente ci siamo resi conto di cosa stesse vendendo”.
La natura selvaggia e la vita quotidiana si intrecciano. E Mestia è un esempio perfetto di come, all’interno di una realtà moderna e attrezzata, si possa trovare un contrasto netto con l’ambiente naturale circostante: “Immagina di arrivare in una località montana alla moda, dotata di ristoranti, supermercati, un piccolo aeroporto e una banca. Gli hotel offrono il Wi-Fi e incontri persone che lavorano come guide, pronte ad accompagnarti. Questo contesto crea un contrasto particolarmente evidente, soprattutto dopo aver percorso tanti chilometri in cui ti sei sentito isolato, incontrando pochissime persone e pedalando a stretto contatto con la natura, con maiali e mucche ai bordi della strada. Non siamo abituati a questo. Per noi, una strada è una perfetta lingua di asfalto che collega il punto A al punto B. Lì, invece, la strada è condivisa con gli animali che la attraversano: asini, numerosi cani e, a un certo punto, un cavallo che ha corso davanti a noi per almeno 500 metri. Probabilmente lo abbiamo spaventato; è uno dei ricordi più intensi di tutto il viaggio”.
Ghiaia e polvere sotto le ruote, ponti in legno e fango scivoloso, cime innevate e ghiacciai, torri di avvistamento che raccontano storie antiche. Ci si muove in spazi vasti e solitari, dove le persone sono rare e la natura domina incontrastata. Tuttavia, la vita si manifesta all’improvviso: pedalando in questo paesaggio remoto, si può incrociare un gruppo di bambini in bicicletta. “I bambini che ci hanno seguito per un brevissimo tratto vivono probabilmente in un contesto in cui gli animali sono fondamentali per la sussistenza delle loro famiglie. So che molti abitanti di Mestia, per esempio, pur avendo studiato nella capitale Tbilisi o all’estero, sono tornati a vivere nei luoghi della loro infanzia. Il legame con la montagna e il territorio è più forte di qualsiasi stile di vita moderno. Hanno scelto di tornare alle loro radici, perché quel legame è indissolubile”.
Molti degli abitanti di Mestia sono ora impegnati in attività legate al turismo, lavorando come guide e accompagnatori lungo i sentieri. La montagna, oggi, ha un valore fondamentale anche grazie al turismo, che contribuisce alla prosperità della città e garantisce il sostentamento degli abitanti. In un contesto come questo, i pasti e i pernottamenti avvengono spesso in ambienti accoglienti e familiari, favorendo incontri autentici con i locali.
"Un aspetto che abbiamo notato fin da subito, e che ci ha accompagnato per tutto il viaggio, è stata l’accoglienza costante. Anche senza una lingua comune, abbiamo incontrato persone pronte ad aprirci le porte delle loro case per offrirci da bere e da mangiare. Ci siamo sentiti benvenuti e sostenuti in ogni momento. Lontani da casa, le persone ci hanno fatto sentire come se fossimo a casa. Alle porte di Mestia, ci siamo fermati davanti a una abitazione dove era parcheggiata una vecchia auto russa che ci aveva incuriosito. Inizialmente pensavamo di essere di troppo, ma il proprietario, invece di mandarci via, si è dimostrato curioso. Alla parola ‘Italia’, ha subito risposto con ‘Napoli’, un modo per stabilire una connessione. Ci ha invitati a entrare e, nel cortile, ci ha offerto la sua grappa fatta in casa, facendoci sentire subito la sua ospitalità”.
A questo punto del viaggio, la meta finale è ancora lontana: il Passo Zagari, a 2620 metri sul livello del mare. La strada si fa sempre più incerta e le condizioni meteorologiche cominciano a giocare un ruolo fondamentale. “Con l'anno 2024 particolarmente nevoso, eravamo consapevoli che il passo potesse essere impraticabile. Tuttavia, era fondamentale verificare personalmente la situazione. Ci siamo quindi diretti verso Ushguli, uno dei più alti insediamenti umani in Caucaso e uno dei più caratteristici della Georgia".
Ushguli e le sue 200 anime
Ushguli è una comunità composta da quattro villaggi così ravvicinati da formare un unico insediamento. Situato nella regione dell'alta Svanezia, a oltre duemila metri di altitudine, ai piedi del monte Shkhara (la punta più elevata della Georgia), ospita circa 70 famiglie, per un totale di su per giù 200 persone. “È stata una vera avventura arrivare fino lì. La strada, inizialmente asfaltata, si è presto trasformata in una lingua di terra battuta che risaliva il fiume Enguri, ormai ridotto a un torrente. La guida ci consigliava di procedere rapidamente in alcuni tratti a causa dell'instabilità dei terreni accidentati appena liberati dalla neve. L’Enguri ha scavato profonde gole e ha reso instabili i pendii, soggetti spesso a caduta massi o frane; è stato un continuo alternarsi di guadi, ma poi ci sono stati anche momenti in cui era possibile fermarsi per ammirare le cascate. Ushguli è un posto coperto di neve almeno per sei mesi all’anno, il che ne accresce il fascino. Colpisce il fatto che ci siano persone che vi abitano tutto l’anno. E c’è anche una scuola e uno studio medico. Arrivarci è stato emozionante, ed è lì che abbiamo mangiato in un ristorante molto particolare”.
Il cibo in Georgia è una fusione di sapori mediorientali e asiatici. I “khinkali” sono ravioli ripieni di carne, formaggio o brodo, familiari a chiunque abbia provato i ravioli cinesi, mentre i piatti di carne speziati richiamano la cucina turca o libanese. Un altro piatto onnipresente è il “khachapuri”, una sorta di pizza farcita con formaggio, molto popolare ovunque. Tra le bevande, spicca una particolare soda al gusto di panna e menta, davvero insolita.
“Siamo stati accolti in quella che viene chiamata la casa delle guide, dove abbiamo gustato un pasto tipico: i khinkali, ravioli ripieni di carne e brodo, una delle specialità culinarie più apprezzate del paese. In realtà, quel posto è un ristorante, ma potrebbe tranquillamente essere la casa di qualcuno, essendo un locale di cinque metri per cinque con cucina a vista, dove si intravedevano due signore intente a impastare ravioli a mano. Anche questo è stato un momento significativo”.
Da Ushguli parte la strada che conduce al Passo Zagari, ma le condizioni in montagna sono spesso imprevedibili. A causa delle intemperie, possono verificarsi cambiamenti di programma improvvisi. Con il viaggio ormai alle battute finali, era il momento di decidere come procedere.
“Ci siamo resi conto che proseguire verso il nostro obiettivo era impossibile: le nevicate delle settimane precedenti avevano bloccato la strada per il passo, che non sarebbe stato riaperto per altre quattro settimane. Mentre stavamo valutando cosa fare, il meteo è cambiato improvvisamente: in pochi minuti, il sole ha lasciato spazio a pioggia mista a grandine, ricordandoci che ci trovavamo in alta montagna, dove è fondamentale essere sempre pronti e ben equipaggiati. Abbiamo deciso di girare le biciclette e invertire la rotta per tornare a Mestia, consapevoli di aver comunque vissuto un'esperienza indimenticabile”.
Le difficoltà di pedalare in un ambiente di alta montagna e l'ospitalità degli abitanti convivono in luoghi dove il senso di comunità è essenziale per affrontare le sfide quotidiane. In questi posti, ogni giorno rappresenta un viaggio in sé.