Anna

In assoluto una delle atlete più importanti dell'ultimo decennio in una nidiata di talenti ciclistici dei Paesi Bassi, Anna van der Breggen ha chiuso la sua carriera agonistica nel 2021 ed è divenuta direttore sportivo del Team SD Worx.

 

Testo originale di: Rachel Jary

Foto di: Michael Blann

 

Anna van der Breggen ha rischiato di non essere una ciclista professionista. Prima del 2012, quando ha firmato il suo primo contratto da atleta, stava studiando per diventare infermiera. A quell’epoca non aveva ancora la mentalità di un'atleta, le corse erano sempre state solo un divertimento.

"Se vedi le ragazze ora, sono tutte così professionali", dice. "Ricordo che quando ero al mio ultimo anno da juniores il mio allenatore mi aveva detto: 'Anna, ti serve cardio frequenzimetro'. E io gli avevo risposto qualcosa del tipo ‘Un cardiofrequenzimetro? E per fare cosa’”.

Anna Van Der Breggen per farsi strada nel ciclismo professionistico, si è affidata esclusivamente al suo talento. Il passaggio alla categoria élite è stato un battesimo del fuoco: “Improvvisamente c'erano tante atlete e non conoscevo nessuno", ricorda. "Le mie amiche avevano smesso, mentre io dovevo scoprire da sola come funzionava quel mondo. È stato un periodo piuttosto duro. Il ciclismo non mi piaceva più così tanto".

Fortunatamente per il mondo del ciclismo e per noi, Anna Van der Breggen è stata convinta dall'allora cognata e allenatrice a continuare il suo percorso nel mondo del professionismo. "L'inverno 2011-2012 è stato il momento in cui ho capito che o mi impegnavo di più, oppure avrei dovuto lasciare il ciclismo professionistico dopo il mio stage", confessa. "Avevo bisogno di capire dove potevo arrivare, perché tutti mi dicevano sempre che avevo talento. Con la federazione nazionale facevamo test VO2 max ogni anno, e anche in quell’occasione il medico mi diceva tutte le volte che avevo talento ma che non lo stavo adoperando”.

"Da qualche parte nella mia mente c'era la sensazione che avrei dovuto insistere ancora un po’ prima di smettere, e così ho fatto. Quell'inverno, insieme a mia cognata, siamo entrate in una nuova squadra e volevamo entrambe fare bene. Abbiamo seguito il nostro programma di allenamento alla lettera e — per la prima volta in assoluto — sono uscita in bicicletta quasi ogni giorno. Volevamo solo vedere se avrebbe funzionato. Ho fatto le prime gare e ho pensato: wow, sono migliorata parecchio!”

Il gruppo ha imparato presto il nome di Anna van der Breggen. Nel 2012, a soli 22 anni, si è classificata nona al Giro delle Fiandre, è arrivata quinta ai Campionati del Mondo su strada e ha ottenuto alcune vittorie di tappa in gare UCI di seconda fascia. È stato l'inizio di una carriera che si è conclusa nell’autunno 2021, con un congedo dal professionismo come una delle atlete di più forti di tutti i tempi. 

Nata a Zwolle, una città nel nord-est dei Paesi Bassi, per Anna Van Der Breggen andare in bicicletta è stato prima di tutto un rito di passaggio. "Era una cosa che si faceva e basta", ricorda. "Il martedì e il giovedì ci si allenava e il sabato c'era la gara. Correvo e mi allenavo con le mie migliori amiche e se arrivavo terza o decima, non importava a nessuno. E mi piaceva". Mentre parla, vedo una Anna differente. È generosa con i suoi racconti e con le sue parole. Calma e precisa nel descrivere, finisce la maggior parte delle frasi con un sorriso, i suoi occhi mi guardano con calore. È davvero questa la persona che ho visto attaccare senza pietà per vincere sul Mur de Huy per ben sette volte? È lei la ciclista che non ha voluto lavorare con la rivale Annemiek van Vlueten al Giro delle Fiandre del 2020? Dov'è la furia agonistica, la vena selvaggia che ho visto in gara così tante volte?

"Ho iniziato a correre perché mio fratello correva. Ho tre fratelli e due di loro andavano in bici", continua. "Volevo batterli". È in quest'ultima frase che la ritrovo: il luccichio negli occhi, la determinazione e la competitività che avevo colto nelle gare viste in televisione. Ma sembra che la Van der Breggen che abbiamo visto correre, nascosta dietro agli ampi occhiali Oakley, sia una persona diversa da quella seduta ora di fronte a me. Anche lei ammette questo cambiamento di personalità. "Quando si tratta di gareggiare, sono diversa“, dice. “Di recente ho iniziato a correre a piedi e anche lì quando metto un numero sulla schiena, anche se è una corsa amatoriale, voglio andare forte. Voglio essere la prima a tagliare il traguardo. Sono sempre la stessa persona, quando gareggio mi trasformo e do tutta me stessa".

L’ostinata determinazione ad essere sul gradino più alto del podio è stata sicuramente un fattore cruciale nella sua scintillante carriera. Oggi Anna Van der Breggen ha 33 anni. Dopo tutto quello che ha vinto è impossibile oggi immaginare che gli inizi della sua carriera, segregata nelle retrovie del gruppo, inesperta e infelice, avrebbe potuto facilmente ritornare ai suoi studi da infermiera.

Le sue difficoltà nel passaggio alla categoria élite sono fin troppo comuni tra le giovani cicliste. Con la mancanza di gare femminili per U23 su strada, il salto al livello professionistico è troppo duro per molte ragazze. Per questo ogni anno, un numero enorme di atlete abbandonano lo sport del ciclismo senza aver mai scoperto il loro vero potenziale. La prima grande vittoria è arrivata alla Omloop Het Nieuwsblad nel 2015. "Ricordo che quell’anno ci siamo allenati molto negli sprint perché erano il mio punto più debole", dice. “Nella fuga decisiva della Omloop mi sono ritrovata con Ellen van Dijk. In quell’occasione le è stato permesso di venire in fuga con me perché la sua squadra, la Boels-Dolmans, era d’accordo e perché il mio sprint non era così buono. Proprio come il suoMi aspettavo che attaccasse nel finale ma non l'ha fatto ed ero felice di potermela giocare. Mi sono detta ‘ok, quest’inverno mi sono allenata tantissimo. Devo batterla allo sprint“.

Nello stesso anno, una delle progressioni di cui è capace la Van der Breggen l'ha aiutata a vincere anche la Freccia Vallone per la prima volta. E da quell’anno, nessun’altra atleta l'ha più vinta. Alla Freccia infatti, la Van der Breggen ha ottenuto sette vittorie consecutive e la sua salita fluida e potente sul Mur de Huy è diventata un vero e proprio marchio di fabbrica.

“Devi sempre sapere esattamente quanto veloce puoi andare. Mi piace prendere il Mur davanti alle altre, così da tenere il ritmo alto. L’ho sempre salito al mio limite, ma mai esagerando”, spiega la Van der Breggen “se esageri, è finita”.

Se a prima vista la sua vittoria finale alla Freccia Vallone del 2021 può sembrare semplicemente un'altra delle sue 60 e passa vittorie, la Van der Breggen rivela che ha un significato particolare, in quanto ha rappresentato un cambio di guardia nel suo team SD Worx. La sua giovane compagna di squadra Demi Vollering ha insistito nell’inseguire la fuga per dare alla Van der Breggen un’ultima possibilità di gloria nella sua ultima stagione agonistica.

“Quel giorno non mi sentivo molto bene", spiega la Van der Breggen. "Ho detto a Demi che avrei inseguito io per lei e che avrei chiuso il gap, ma lei non ha voluto. È stata la prima volta che non ha ascoltato le mie indicazioni e io ho ascoltato le sue. Le sarò sempre grata”. Il carattere e la capacità di prendere decisioni della Vollering è qualcosa che la Van der Breggen si aspetta di ammirare nella 25enne compagna olandese anche in futuro. "Se parli con le atlete più giovani, all'inizio sembrano timide ma poi capisci che se vogliono qualcosa, sanno davvero come ottenerla”.

Tra Van der Breggen e Vollering durante l'ultimo anno in gruppo, abbiamo assistito a una sorta di passaggio del testimone. Sia a La Course che alla Liegi-Bastogne-Liegi la Van der Breggen ha lavorato per aiutare la sua compagna di squadra, pedalando in testa per riprendere la fuga e per proteggerla nelle fasi più delicate della corsa. È una testimonianza del suo carattere e della sua generosità. Nonostante la sua esperienza e il suo palmarès la Van der Breggen non si è mai tirata indietro quando si trattava di correre per aiutare qualcun altro.

“Le atlete giovani in gara hanno obiettivi diversi dai miei”, spiega riferendosi alle sue compagne di squadra. "Hanno l'obiettivo di fare bene e di arrivare tra le prime dieci e quando ci riescono, sono contentissime. Conosco quella sensazione di felicità e la leggo nei loro occhi. Quando vedo le mie compagne felici, anche io sono felice. Sembrerà un’assurdità ma quando loro arrivano nelle prime dieci, mi sento più felice che quando vinco io”.

La perdita di felicità per la vittoria è la cosa che ha spinto Anna Van der Breggen verso il ritiro. Vincere, dopo aver vinto tutto, non aveva più lo stesso sapore. “Ho goduto di quelle emozioni in passato, ma adesso voglio andare avanti e ho bisogno di qualcosa di diverso", dice. Il desiderio di cambiamento è qualcosa che Van der Breggen ha già sperimentato nella sua carriera, quando si annoiava per un calendario gare monotono e per la stessa routine, stagione dopo stagione. Per cercare di sottrarsi alla sensazione di monotonia, nel 2019 ha partecipato alla gara di mountain bike Cape Epic in Sudafrica con Annika Langvad, al tempo sua compagna di squadra.

"Ho sempre fatto le stesse gare su strada, tutti gli anni. Sapevo esattamente dove andavamo, cosa avremmo fatto e perfino com’erano gli alberghi. A un certo punto ho capito che non volevo ripetere la stessa stagione primaverile come in passato. Avevo bisogno di nuovi stimoli”, dice la Van der Breggen. “ Avevo già corso in mountain bike, ma mai a quel livello. Annika è una pazza e mi ha trascinato. Mi ha detto: ‘facciamo una gara di preparazione a Cipro per vedere se è fattibile, e poi andiamo’. Quindi dentro di me ho pensato: se mi dice che dobbiamo fare una prova, significa che non ce la possiamo fare”. Van der Breggen e Langvad hanno poi vinto la Cape Epic.

Quell’esperienza diversa da tutte le altre deve averle fatto parecchio bene: la stagione 2020 è stata una delle sue migliori in assoluto. Al Mondiale di Imola ha conquistato una doppia maglia iridata (su strada e a cronometro) e ha anche vinto il Giro Rosa. Per questo, l’annuncio che si sarebbe ritirata al termine della stagione 2021, è stata una sorpresa per molti. "Non avevo più un grande obiettivo da inseguire o traguardi personali nel ciclismo da raggiungere, quindi ho capito che era giunto il momento di lasciare”.

Nonostante il ritiro dalle gare come atleta, Van der Breggen continuerà a fare parte del mondo del ciclismo professionistico. Dal 2022 condividerà la sua esperienza con le ex compagne di squadra come direttrice sportiva alla SD Worx. L'eccitazione per il nuovo ruolo è evidente, gli occhi le luccicano quando ne parla. Quando Anna comincia a parlare del suo futuro, la sua energia e il suo tono di voce cambiano, rispetto a quando racconta del passato.

"Le nuove ragazze sono diverse da come ero io quando avevo la loro età", dice. "Ognuna di loro ha qualità differenti. C’è bisogno di avere qualcuno in squadra che le guidi e di cui abbiano fiducia. Ma serve anche qualcuno capace di socializzare, di rendere tutto più facile e umano”.

Dato che farà da mentore ad atlete con cui ha corso negli ultimi dieci anni, così come alle ragazze più giovani, la Van der Breggen si imagina di dover adottare un metodo di gestione delle risorse umane flessibile. Le chiedo anche qual’è stato il momento più speciale della sua carriera e lei risponde la prima maglia dei Campionati del Mondo a Innsbruck nel 2018. L’anno prima, Van der Breggen aveva chiuso in seconda posizione sia la cronometro, sia la corsa in linea — risultati che le avevano dato ancora più motivazione per provare l’attacco decisivo nelle gare austriache. Un attacco che, a fine gara, aveva fruttato una vittoria con un margine di più di tre minuti: “Quello è stato uno dei momenti più belli della mia carriera. Non tanto la vittoria in sé, ma il momento in cui ho attaccato e ho capito che ce l’avrei fatta".

L'amore di Van der Breggen per la bicicletta e il mondo dell’agonismo è ancora forte. Dice che continuerà a pedalare, ma per divertimento, senza pressione. Nel mondo del ciclismo professionistico porterà lo spirito spensierato che aveva quando si allenava da bambina a Zwolle, tanti anni fa. Invece di guardare i suoi numeri di potenza o i dati sul cardio frequenzimetro, sarà in grado di guardare intorno, pensando alla sua nuova vita da direttrice sportiva. 

“Davanti a me ho una pagina bianca, è la sensazione di incognita che ti regala ogni prima volta. Mi sembra un po’ come quando sei bambina e ti portano a Disney World. Non sai cosa ti aspetta, ma la sensazione ti piace. Da matti”.

 

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